Vittorio Sammarco

Giornalista e scrittore, docente di Comunicazione politica e Opinione Pubblica nella Facoltà di Scienze della Comunicazione sociale. Insegna ai suoi studenti che la politica, quella fatta al servizio della comunità, non necessariamente una cosa brutta, sporca, corrotta e corrompente come ce la presentano. È una delle “più alte forme di carità”

“Fare il giornalista è sempre meglio che lavorare”; è una frase (tra l’ironico e il corrosivo) di un giornalista, Luigi Barzini jr che, figlio di un altro grande giornalista, si era cibato di parole fin da piccolo. Al di là del sorriso che suscita, per me che ho scelto questo mestiere per caso, non è un pensiero offensivo o sminuente. Perché dopo gli anni di studi giuridici con il sogno di diventare magistrato; dopo gli anni formativi ed entusiasmanti dell’Azione cattolica (che mi è rimasta nel cuore e nella mente…); dopo anni di altre esperienze formative, ecco che mi viene richiesto di dare un contributo alla stampa associativa nazionale collaborando e poi diventando giovane direttore del settimanale Segno Sette, fiore all’occhiello dell’Ac di quegli anni. Bene, da lì (era il 1989), comincio a… non lavorare, ossia, fuor di battuta, a fare il giornalista. Per inciso: con qualche perplessità paterna, appena nascosta per delicatezza.

E diventa la mia attività di vita che, per seguire le parole di Barzini jr., seppure retribuita (non sempre come meriterebbe…) e riconosciuta contrattualmente, per me è sempre stata una passione, un divertimento, uno stimolo alla curiosità, un incentivo al dialogo e alla ricerca continua. Interessarmi della vita del mondo, delle persone, delle loro storie, di tutto ciò che circola vicino e lontano da me, ascoltarle e poi scriverne, non l’ho mai sentito come fatica. E poi magari ci scappa pure uno stipendiuccio...

Sono una serie di valori positivi che cerco di veicolare e comunicare agli studenti dei corsi in Facoltà. Con prudenza e saggezza, credo, perché il giusto rapporto tra idealità e sostanza deve essere contrassegnato dall’equilibrio. Una formazione che ora si traduce in un patrimonio da investire per farlo rendere al meglio. Stare con i giovani e provare a trasmettere loro il potenziale enorme che c’è quando si fa “Buona comunicazione”, è un obiettivo strategico che mi sono dato da quando (ormai quasi dieci anni fa) ho messo piede (anche qui per caso, perché un collega lascia e avendomi conosciuto in Ac mi propone di sostituirlo) a Piazza dell’Ateneo Salesiano 1.

Questo è un valore umano, pastorale, ecclesiale, direi quasi evangelico, se la parola non fosse troppo forte, che intendo coltivare sempre nei miei corsi. Non solo di Giornalismo (tecnica o teoria che sia), ma anche – e direi soprattutto – di Comunicazione politica e Opinione Pubblica. Ho cominciato il corso per l’a.a. 2020-2021 e nella prima lezione, come ho fatto negli anni precedenti, ho voluto sottolineare questo obiettivo: accanto alla “tecnica”, ai meccanismi nascosti e palesi per la conquista del consenso propri di tutte le strategie politiche, vorrei che dopo queste 12 lezioni rimanesse negli studenti un piccolo ma significativo valore aggiunto. La politica, quella fatta per il servizio della comunità, non è poi così necessariamente una cosa brutta, sporca, corrotta e corrompente come ce la presentano. È una delle “più alte forme di carità” e se attraverso lo studio dei suoi linguaggi e le sue tecniche comunicative riuscissi a far passare questo messaggio, se a corso finito, osservando a come “va il mondo” venisse loro in mente qualche pensiero positivo (parola da riabilitare…) comunicato dal professor Sammarco, ecco, sarei molto contento.

Perché in fondo è proprio questo che ho imparato ad apprezzare in questa sede, frequentandola, dialogando con i colleghi, ascoltando le introduzioni ufficiali dei rettori (come dimenticare la luce negli occhi e nelle parole di don Nanni!) negli eventi pubblici; nei testi pubblicati, nei seminari di approfondimento, e altre mille occasioni anche non convenzionali: in qualsiasi situazione, persona, evento, si deve poter trovare il lato migliore, generatore di fiducia e di speranza. Oso dire, anche se non ne conosco a fondo il pensiero, che era lo spirito di don Bosco.

Questa filosofia di fondo è quella che mi è sembrata di ritrovare nei due grandi seminari sull’Intelligenza artificiale, quello in presenza del 2019 e quello, ahinoi, in virtuale del settembre 2020, e di cui ho avuto l’onore di gestire la presentazione pubblica. Tono e impostazione generale da apprezzare: di fronte ad un tema così importante e delicato, l’atteggiamento da tenere è quello che sempre (in questa sede di ricerca e di studio) siamo invitati a coltivare. E cioè: occhio critico e non ci si accontenti mai di posizioni acquisite; sì, ma siano, insieme, occhio e orecchie pronte ad accogliere ogni gesto, pensiero e azione valido per la crescita dei singoli e delle comunità.